La Critica

Il contesto:

“Ho compreso che l’unica risposta umana, ciò che veramente è umano contro questo disumano che è il dolore è la creatività dell’uomo, la sua capacità di creare oggetti immortali, opere di vita, segni del suo essere oltre il tempo, oltre il tempo storico che lo limita ad essere una data…”

Cristina Correnti, 2003

La mostra “AAA CERCASI CAPRO ESPIATORIO” realizzata dell’artista siciliana Cristina Correnti prende ispirazione dai primi sei libri della saga del Malaussène di Daniel Pennac in cui emerge la figura tragicomica di Benjamin Malaussène, capro espiatorio per antonomasia, colui che accoglie mali e colpe della comunità per il bene della stessa.

Sono diversi i motivi per cui l’artista è stata affascinata dal ciclo del Malaussène: primo fra tutti è il colore e la ricchezza del linguaggio adoperato da Pennac, elementi entrambi riscontrabili nei vari lavori dell’artista, la quale oltre ad utilizzare “colori d’energetica infanzia e di premurosa cura, forme d’inusitata gettatezza ”(Massimo della Sala, L’altro ordine, 2002), si espone per mezzo di una tecnica mista, una polifonia, un’esecuzione poli-strumentale e sinfonica.

Il linguaggio da lei utilizzato per le sue rappresentazioni, e per descrivere le sei storie prima menzionata , è quello della pittura, dell’istallazione e della scultura.

Ma il vero valore della rappresentazione sta nei temi che ogni personaggio, o elemento di essa, ne è portatore.

La maternità di una madre non è presente perché sempre in cerca di amore; padri inesistenti; i rapporti tra fratelli; l’amore per cani malati e maleodoranti; l’uso del tatuaggio; la scelta di amori sbagliati o non corrisposti; il lavoro, i giochi di potere e la frustrazione; gli incubi, i sogni, le premonizioni e la realtà; il dilagare e l’abuso della droga e dei farmaci; gli scontri etnici e l’integrazione; i problemi con la vecchiaia, la solitudine, l’ abbandono, la violenza, gli omicidi; l’inaspettato e l’inaspettabile, sono alcuni degli aspetti messi in luce dalla mostra AAA Cercasi Capro Espiatorio.

Proprio come fanno i personaggi che popolano i racconti della saga così anche i personaggi-artisti della mostra, il loro compiuto e il modo in cui avviene la loro rappresentazione saranno la forza trainante dell’esposizione.

La mostra è dunque una concertazione di artisti che mettono in campo le loro abilità metalinguistiche dove le parole, le immagini, gli oggetti, la musica, il movimento ricreano un mondo altro per proporre una riflessione.

Una riflessione sul sociale, sul mondo che viviamo e sul come lo viviamo.

Quante volte è capitato di stupirci davanti a un libro perché la storia che viene narrata ci sembra tanto assurda ed emblematica? Ma, seppur non ammettendolo, sappiamo perfettamente che ogni cosa prende spunto dalla realtà di ogni giorno, dalla storia e dal passato.

Il grande contenitore, non per la sua fisicità ma per la moltitudine di valori che anche un piccolo spazio può contenere, dunque lo scenario preso in attenzione per questo racconto, è un quartiere di una città famosa per la sua multi-etcnicità.

La Vucciria, quartiere dai svariati colori di genere, razza e ideologia politica; antico centro nevralgico della vecchia città, spazio di terra dotato di senso dell’integrazione e non solo, oggi è un luogo in cui è avvenuto l’esatto opposto di ciò che lo ha reso tramandabile nel tempo.

La custodia e la memoria della storia identitaria di ciò che ci circonda o che ci ha circondato, come quella delle persone che abitano e che hanno abitato questi spazi deve necessariamente essere tramandata.

Come ogni artista, anche Cristina Correnti mette in evidenza la propria poetica e la propria artisticità, i punti di vista e i temi che lei ritiene meritino attenzione e da fissare nella memoria. I personaggi che mettono in moto l’azione sono vari come i temi che ognuno porta con sé.

Sono tanti, forse troppi, ma non per questo meno degni di essere esposti. Viviamo in un mondo, quello di oggi, che ci costringe a un continuo aggiornamento e stimolo su mille fronti. I giovani di oggi hanno sviluppato una tale capacità di flessibilità e mutamento che spesso rischia di perdersi così come i continui mutamenti che subiscono gli ambienti e le città che abitiamo rischiano di diventare contenitori senza più alcun valore.

Il progetto:

Antica come la storia dell’umanità, la figura del capro espiatorio ha fatto sì che ogni uomo proiettasse su qualcun altro e/o qualcos’altro, che non fosse se stesso, la responsabilità dei propri sentimenti aggressivi.

Primo fra tutti gli esempi Gesù Cristo, l’agnus dei, morto ingiustamente sulla croce, porta allo scoperto la nostra cattiva coscienza.

Si parte da questo assunto per richiamare l’attenzione di ogni artista contemporaneo a rifarsi proprio su un letterato-filosofo. Solo per citarne qualcuno Albert Camus, J. P. Sartre per l’Informale, Apollinaire per il Surrealismo, il Neoplatonismo con Lorenzo dei Medici a Firenze, i d’Este a Ferrara, quindi Botticelli, Piero della Francesca. Secoli dopo, Nietzsche e Bergson, rispettivamente per l’Espressionismo tedesco della Die Brücke e dei Fauves.

Io, molto umilmente, sono affascinata dalla disarmante creatività del Sig. Daniel Pennac, dalla ricchezza e colore del suo linguaggio. E in particolare, ho tratto ispirazione da sei libri della saga Malaussène nei quali spicca come personaggio principale il tragicomico Benjamin Malaussène, capro espiatorio, inizialmente di un grande magazzino e in seguito di una casa editrice.

La trama del romanzo, assolutamente surreale, è in secondo piano rispetto ai personaggi che le ruotano attorno. Sono i personaggi, i loro caratteri e abitudini e le azioni che compiono a tessere la storia che Pennac racconta. Proprio come succede nella vita reale. Inoltre l’utilizzo della metafora di cui fa uso nella sua scrittura, così come le immagini che essa evoca, restituiscono al pubblico la sintesi di una descrizione. E la sintesi trasposta nell’immagine è ciò che intendo rappresentare nella mia personale “AAA – Cercasi Capro Espiatorio”.

La mostra è concepita come una forma di meta-linguaggio dove parole, immagini e musica ri-creano un mondo altro. Non voglio essa venga intesa come una mostra di un artista, ma come una concertazione di artisti che in maniera diversa esprimono la propria abilità per essere concepita come un tutto narrato. Parlare di film unico, rappresentazione di un’intera vita legata all’immagine, alla nascita alla vita, alla morte… frammenti di un discorso di R. Barthes … troppi riferimenti aulici per non essere quanto meno tracciati.

Nella mia visione voglio rappresentare la ricreazione di sette ambienti che si giustappongono con lavori pittorici e istallazioni. Kandinsky ha molto indagato nel Lo spirituale nell’arte la connessione che esiste tra gli strumenti e i colori, Rudolf Arnheim ha accostato i colori alle note musicali. La musica sarà il collante di questo scenario.

Il mio intento è quello di gemellare il quartiere storico di Belleville con quello della Vucciria. Belleville, una periferia di Parigi dalla caratteristica multi-etnicità e visto il momento che stiamo vivendo in Italia è fondamentale e necessario per me sottolineare l’aspetto della multi-etnicità.

La poetica di Pennac, dunque, mi sembra quanto mai contemporanea, propria “giustapposta”.

Ovviamente tutte le ricerche per ogni artista sono una forma esorcizzante, quindi apotropaica, delle proprie debolezze. La mia partecipazione sta nel dipingere quadri e realizzare istallazioni.

Con il regista Rosario Neri ho concertato l’istallazione del personaggio Six La Neve. Si è voluti dare al personaggio una valenza di monumento.

Perché proprio Six la Neve? Perché Pennac?

Uno dei motivi è perché ha realizzato un intero racconto sul tatuaggio, da artista che vive il proprio rapporto con l’immagine, odio il marchio come segno distintivo su di un corpo. L’idea rigeneratrice dell’artista è la sopravvivenza dell’immagine-opera su di esso. Non può morire alla morte di un uomo.

La mercificazione, la banalizzazione, l’uso grottesco del tatuaggio mi ha spinto a ri- attualizzarlo.

La ragione che mi ha spinto a leggere, ri-leggere e tenere nel cuore i libri di Pennac, sostanzialmente la saga di Malaussène sta nel fatto che mentre la mia famiglia pezzo dopo pezzo “moriva sulla strada”, si sgretolava e si sgretola, lui, il nostro capro, Benjamin, era li, nel racconto, con estrema semplicità accoglieva, amava, nutriva, si faceva carico di individui, fratelli, ed in genere di esseri umani.

E’ il modo di esorcizzare la morte attraverso altre prospettive di vita.

Ben aggregava, univa, amava, ed è così che ha alimentato la mia speranza nell’amore.