Rassegna Stampa

Intime Cromie Comunicato stampa scritto dal critico Daniela Brignone

Comunicato stampa

Il 23 febbraio allo Spazio Nike sarà in scena il colore.

La galleria di via Montenapoleone 3 inaugura il 2008 con la mostra “ Intime Cromie”, a cura di Daniela Brignone , un percorso artistico attraverso l’ultima produzione della pittrice palermitana Cristina Correnti. Tratti corposi e colori intensi sono i segni distintivi della sua arte che, servendosi dell’energia cromatica, riesce a immergere l’osservatore nell’opera dove, a farla da padrone, sono i temi dell’universo erotico e femminile.
L’uso ricorrente dell’accostamento giallo-rosso nei corpi disegnati dona alle figure un impulso vitale che rende quasi tangibile la passione, a volte intima, altre volte di coppia, proposta dai soggetti. E’ dell’eros il dominio delle tele, che la stessa autrice definisce, in una nota biografica, il tema artistico di cui si è innamorata. Un amore nato anche dai numerosi viaggi in terre lontane, in cui i colori primitivi della natura, contrapponendosi ai toni grigi dell’occidente, hanno posto l’artista sulla strada che l’avrebbe portata alla scoperta di se stessa e della sua arte.

Quindici quadri per raccontare un cammino artistico nel colore che ancora oggi continua e che permette di inserire la pittrice tra le promesse dell’arte contempoanea nazionale.

Una punta di colore cadrà anche su inviti e invitati che, per desiderio dell’artista, potranno indossare, in occasione della parentesi inaugurale, un indumento rosso. Un colore intenso la cui scelta non appare casuale, proprio per l dimensione passionale che evoca, facilmente rintracciabile anche nelle opere esibite.

La freccia in volo

Fra gli artisti a me noti, Cristina Correnti entra con certezza nel novero di coloro che, in misura maggioritaria, possiedono la sezione aurea dello sguardo. E questo sin dai lontani esordi, come traspariva dalla mostra di ritratti, “Dispar et Unum”, da me curata, nella quale attitudini diverse concorrevano a originare, dentro e fuori del tempo, un’atmosfera sognante, una perfetta fusione di quotidiano e cosmico, di leggerezza e austerità. Ambivalenze che da sempre caratterizzano l’arte autentica o se preferite, non occasionale.

La politezza dello stile qui dunque contrastava con l’ansiogena attesa emanata da ogni singola tela e che generava un sottile senso di incompiutezza e di conturbante deformazione. Quasi che, da tali indefinite occasioni, potesse un giorno rifiorire e germinarsi un sommovimento organico, costituito d’interventi pittorici, piani d’architettura, temi musicali, capaci di sottrarci ai moniti delle tempeste interiori e di sospenderci nel fiabesco ductus voluto dall’artista.

Spazio prescelto per l’intrapresa fu, allora, un venerando terrazzo della Vucciria, lo

stupendo mercato ancora immune di demolizioni programmate da parte di una politica irresponsabile, che alla cultura dei luoghi intendeva ora avvicendare una civilizzazione patinata, velleitaria, comunque del tutto anonima.

Ritrovo Cristina, dopo un lungo periodo di latenza, originata dal suo essersi frattanto domiciliata a Roma, dove ancora risiede, e scopro che il suo gesto pittorico si è nel frattempo ulteriormente potenziato e che i temi che oggi rappresenta sono d’improvviso divenuti ricchi di prospettive e figure in costante metamorfosi, come sempre accade a chi, vivendo in un mondo oscuro, circondato dall’urlo degli affetti, dal dolore fisico e dalla morte assurda di milioni di colpevoli e incolpevoli, riesce tuttavia a unificare senso e bellezza, sia pure in modo labirinticamente dis-sennato; in cui, cioè, peripezia e repentino rivolgimento divengono la sostanza stessa del comunicare. Si creano allora – persino nel descrivere gli eventi più semplici, gli oggetti più comuni – variegati intrecci che inducono a una alterità irreale, come nella epifania della Fata Carabina, installata su un piedistallo al centro di una stanza e che, polisemica, richiama, oltre alla bacchetta magica che trasforma gli uomini in fiore, anche gli strumenti dell’agrimensura utili a suddividere i terreni, o la brechtiana canna da pesca che usiamo nelle ore da ozio.

Ed è in ragione di questo proliferare di simboli, che noi riusciamo finalmente ad attingere infinite aree linguistiche adiacenti e marginali, scoprendo con Novalis che tutte le immagini sono fra loro imparentate, e che quest’aria di famiglia si chiama analogia, o associazione del dissimile, frutto maturo d’ispirazione e intelligenza, intuizione e acutezza, costruzione ed estro, idee volatili e geometria.

Alternanze che troviamo anche nell’uso maligno che oggi si fa del nostro corpo, dove gli organi umani, trapiantati post-mortem, divengono sorgente di vita per innumerevoli pazienti; o, indifferentemente, generatori dei delitti più sordidi, come accade per gli espianti forzati da persone viventi e sane, nel caos delle metropoli divenute però merce, schiavi privi di status, identità, domicilio, affidati non più alla cura, bensì alla cieca bestialità di mafie e medici prebendari.

Mediante i quali, il bisturi ritorna a essere coltello che strazia il cristologico capro espiatorio, archetipo del più generalizzato assassinio degli inermi.

A queste pratiche atroci, Cristina non si esime dal dedicare tre quadri di altissima emotività: CuoreFegatoPupilla, prede esibite e prove documentali del congedarsi definitivo dell’uomo dall’humanität; con ciò assecondando un’antica legge che vuole gli essere migliori destinati a soffrire l’odio e il disprezzo delle moltitudini, ormai sudditi di una psiche che nella metafora della follia si rappresenta anch’essa fatta a pezzi e scissa; e in cui il pathos facilmente degenera in patologia.

Ma è la scoperta della narrativa di Daniel Pennac, infine, a liberare in Cristina la forza dirompente per la quale un piccolo innesto origina una immensa piantagione. Il personaggio principale dei racconti di Pennac, Benjamin Malaussène, è di professione capro espiatorio, cioè un essere che vive ed ama in modo differente da tutti noi. Per lui l’umanità non si divide gerarchicamente in alta e bassa, povera e ricca, bella e brutta, sana e malata: un cane epilettico e maleodorante, come Julius, ai suoi occhi può sostenere e vincere il confronto con un cane di rango, olezzante e spulciato; allo stesso modo di Thérèse, la cartomante, o di Clara, la sorella preferita da Benjamin che, per quanto improponibili, sono da lui esibite al centro dell’esistere, sebbene frutto di volubilità costante, di salti logici, di decisioni sconcertanti che possono indurre le menti fragili ad amare e odiare all’improvviso, a uccidere e con pari energia volgersi al bene, seguendo impulsi precipitosi, irrazionali, mai però arbitrari, giacché simili turbolenze altro non esprimono se non la nuova insondabilità del mondo, simbolo evidente di un’epoca di crisi, non più sanabile con i tradizionali apparati consolatori, ormai divenuti mere spoglie inerti.

Sarà invece il colore che stendiamo sulle nostre tele e sui nostri pensieri: il blu dei

lapislazzuli, i cristalli di sale, gli oli misti con gli acquerellati, le polveri, a dare nuova linfa e a “metter lo spirito nelle figure, per contraffar la freschezza della carne viva più che nessuno dipingesse”, parole che Giorgio Vasari usa per descrivere la pittura del Giorgione, ma che legano perfettamente con l’Annunciazione di Cristina Correnti, con l’Angelo e la Donna incinta, o con quello spessore azzurrino che è nell’aria, e sottolinea ugualmente le lontananze e gli oggetti profondi come l’ombra; un colore, quello di Cristina, che non nasce dalla chimica, ma da una macerazione continua, suggestiva come quella di Delacroix, che alla fine della sua vita avrebbe voluto dipingere, ultimo demiurgo, la carne con il fango.

Il Colosso, ancora una volta tratto dalla narrativa di Pennac, è infine l’invenzione più bella – fra le altre, bellissime, che costellano questa rassegna – anch’essa però fluttuante nello spazio e rapida a svanire, come la freccia in volo di Zenone, che modulandosi nel moto immobile dell’esteso infinitamente divisibile, di fatto ci impedisce di conseguire un qualsiasi bersaglio. Anche in Cristina – assecondando i princìpi di Balthasar Graciàn – il bello non è mai dato, non è soltanto oggetto di contemplazione; è invece il risultato di una conquista sempre rinnovata, tanto più gradevole quanto più è difficile. Ché infatti è nella lotta che “il discorso fonda le sue vittorie e l’ingegno i suoi trofei”, rendendo per altro ardua la critica astiosa del censore, per il quale “è più facile colpire l’uccello a volo uniforme”, che non quello a volo sghembo e multiforme.

Il colosso, Six La Neve – scrive Cristina – è un uomo affezionato al quartiere dove ha lungamente vissuto. Quando egli scopre che le case di questo spazio dell’infanzia attorno a lui cominciano, come quelle della Vucciria, a crollare, decide di farsi tatuare nel corpo gigantesco tutti gli edifici che vengono via via non restaurati, ma demoliti, in modo da conservarne memoria.

Anche in passato, importanza grandissima avevano i segni magici disegnati sulla propria pelle.

Nel culto di Cibele, tali segni venivano incisi con aghi roventi. Ed essi evocavano animali strani e fantastici, atti osceni, figure simboliche di uccelli dalle ampie ali o serpenti che si attorcigliano intorno al caduceo, impersonando la medicina; seguivano figure di uomini e donne, di immagini liturgiche, di nomi infine di persone care: ideazioni nelle quali la figura sembrava incorporare un valore identico all’oggetto rappresentato, la parola scritta una virtù simile a quella delle cose che esprimeva. Tutte, nella trasposizione grafica, sottratte alla rovina ed eternate, rese cioè trasmissibili prima della spoliazione dei nostri corpi, con la morte.

A sua volta il Colosso è il gigante che ricorre in tutte le mitologie di ogni tempo e paese, e che può essere di volta in volta il faro antropomorfico che conduce le navi in pericolo nel porto più sicuro; o la natura ragionante di Davide, che munito di una piccola fionda, abbatte lo smisurato Golia; o la bocca di Pantagruele, nella quale Rabelais non mancò di scoprire grandi rocce, enormi prati, foreste, città ampie e forti, come Laringi e Faringi, ricche e assai mercantili. Fantasie che attestano l’idea di un cosmo raccolto in un sistema, nel quale la posizione di ogni individuo, anche se malandato e lacero, ha la più grande importanza nelle relazioni reciproche e nelle combinazioni che ne derivano; e che in Cristina assumono la funzione di compendio della sua mostra, la quale cosí torna a congiungere gli uomini alle stelle, dalla cui attenta lettura potremo tornare finalmente a conoscere l’intera storia dell’umanità che Pennac voleva, appunto, senza scarti.

AURELIO PES

Periferie a Confronto

 

Due artiste palermitane a confronto

Analisi di una memoria di N.F.A.

Due artiste palermitane a confronto

Pubblicato Mercoledì, 07 Novembre 2012

La vita è arte, di questo sono assolutamente convinta, nel bene e nel male, sopra o sotto, nella moda, negli sguardi, nei ricordi. Poi c’è l’Arte, quella che per definizione sprigiona fuori dalle tele a tinte forti, intrecci e fughe di colore, quella che ti lascia senza fiato, quella che a volte non capisci ma fai finta di capire, quella che ti lascia sospesa fra il cielo e la terra, quella che si manifesta con un taglio su una tela…per niente semplice, per chi profana come me, percepisce solo l’impatto emozionale dell’opera. Per questo motivo per affrontare il viaggio nel mondo dell’arte abbiamo deciso di farci guidare da uno che di arte se ne intende, artista e anarchico per sua stessa definizione, docente di arti pittoriche e figurative, Gianpaolo Castiglione NFA.

Intervista a Cristina Correnti e Elia Mammina

di G.Castiglione N.F.A

Entrare negli studi di Cristina e di Elia, mi riporta con la mente ai tempi in cui entusiasta, frequentavo l’ Accademia delle Belle Arti, rù Papiritu a Palermo. Oltre ai colori ad olio, su tavolozze di fortuna, si mischiavano gli odori e l’urlare arabo della gente, il senso dell’unto, della creatività tipicamente mediterranea.

Il tutto proveniente dagli stretti vicoli medioevali del “capo”, il mercato dove il fantasma di Federico II , gioca ancora a zicchinedda con i mercanti popolari, con la gente, tra calamaricchi fritti e ù ciavuru ri melenzane e pasta c’anciuova, li dove il potere è illuminato serve il popolo e la gente tra la gente.

Erano gli anni 90, c’erano già i cumuli ri munnizza, dove come in discarica mi aggiravo per trovare qualche tavola utile su cui dipingere, gli anni di Falcone e Borsellino, dell’impegno artistico sociale anche se ancora immaturo.

Ero amico rù zio Totò ù pusteggiaturi, faccia rugosa la sua come la pietra antica dei templi greci, un pirtusu per la macchina lo trovava sempre.

Poi c’era Tano chiamato ù tombarolo, che si aggirava tra le baracche tipiche del mercato delle pulci, tante simpatiche figure, chiamate professori che guardavi con rispetto, spesso all’intervallo dentro qualche taverna, a parrari d’arte i  fimmine e fimminnedde.

Una festa di figlie e figli, adottati e non, poi fratelli insomma una moderna famiglia allargata,era il sistema che si garantiva..è il sistema, chiedetelo a chi ha soltanto una donna, un’idea e qualcosa… in cui credere.

Un direttore distratto dal sistema che doveva garantire tra i Gattopardi locali.

Poi si tornava a pittare, come in una comune immersa tra i colori, il fumo di qualche spinello e una pacca sulla spalla del docente, era il segnale silenzioso della sua approvazione.

Erano gli ultimi giorni di un credo, che da  li a qualche anno sarebbe per me diventato impegno anarchico e analisi antisistemica, affichè quel sogno un giorno, potesse vivere di uno spazio vitale reale.

Come dopo uno strano sogno, torno alla realtà, e mi ritrovo immerso tra le magnifiche materie cromatiche di Elia e Cristina, due belle voci di donne mediterranee, all’ombra del sistema dell’arte.

Cristina Correnti e Elia Mammina, due pittrici mature espressione di una Palermo sotterranea, lucida e creativa.

Mi dite tre validi motivi che vi inducono a fare l’artista?

Elia

Uno, due e tre e solo un motivo, credo che si nasce con questa inclinazione anche se a volte è latente e si scopre in qualsiasi età della vita. Non sono figlia d’arte ed ho lottato per tante piccole grandi cose nell’ambiente familiare …solo per il fatto d’essere femmina. Ho seguito il mio istinto e la voglia di dipingere, non so se la mia è veramente arte ma la cosa che mi gratifica è quella sensazione di liberazione di mille pensieri che escono dal profondo dell’animo che altrimenti resterebbero intrappolate e mi darebbero quella sensazione di grido soffocato.

Cristina

L’artista non è nel fare ma nell’essere.L’artista nonostante sia stato individuato da Vasari a Gombrich come rivoluzionario delle forme pre esistenti.è qualcosa che prescinde da te: da piccolo sei già diverso.All’inizio pensi che c’è qualcosa che non funziona,poi maturi esigenze,desideri e voglia d’indagine diversa,diversità,Cosa che fa paura ma che è connaturata nell’essere artista.

Secondo voi, quale valore non commerciale, possiede oggi l’arte?

Elia

Se si dipinge per bisogno esistenziale è naturale che non si da’ importanza al mercato dell’arte, ci si rivolge al fruitore con estrema liberta’, perchè questo è il vero significato dell’atto della creazione dell’opera.

Cristina

Il punto è: Deve essere commerciale l’Arte?

Certamente, ma la creatività deve essere lontanissima dall’idea di fare commercio.

Creo oggetti che non voglio siano soltanto espressione di valore economico.

Voglio il senso di un qualcosa che abbia pesantezza d’arte.

   

Perchè fare l’artista e non qualsiasi altro lavoro?

Elia

Si può fare qualsiasi lavoro ed essere contemporaneamente artista, è molto difficile che si riesca a campare con l’arte se si vuole essere liberi, meglio campare di altro lavoro che piegarsi al sistema commerciale dell’arte rischiando di produrre Opere-non opere lontane dai bisogni espressivi dell’artista.

Cristina

Fare l’artista non è incluso in una professione, è la sostanza di quello che si è.

Quindi è quasi fisiologico fare dell’altro. Quando si è fortunati si può fare l’account di se stessi, quindi circostanziare il proprio essere, con la propria divulgazione di se.

L’arte come impegno è utile alla società?

Elia

L’arte è un mezzo importante che senza dubbio serve la società, la storia ne è testimonianza, cito La Guernica di Picasso come esempio.

Cristina

Nostalgia di un Goya di un Picasso, pittore di corte, iniziatore di una burlesque del sistema. Di Picasso sono nostalgica per assunto. Gli artisti oggi hanno poco coraggio. Subiscono la politica molto più di quanto si possa immaginare, quindi diventa molto poco sociale, a mio avviso, e anche molto servile.

I vostri bisogni e desideri d’artista, sono cambiati nel tempo?

Elia

Tutto cambia, si evolve, si distrugge, rinasce,vive e cambia nuovamente….

Cristina

Stiamo parlando di fasce d’età assolutamente diverse dall’accademia, ad oggi n’è passato di tempo. In accademia vieni avvolto dal sogno, dalla conoscenza di biografie d’artisti che ti inducono all’emulazione, in alcuni casi. Finalmente qualcosa di te è stata vissuta in epoche precedenti,e non ti senti così assurdamente sola.

Tre aggettivi per qualificare la vostra attuale ricerca stilistica.

Elia

scavare, sezionare, deformare..

Cristina

Ho scritto una tesi sull’eros in arte. Ho visto cambiare forme, cromie e stili, ma mai, la forte pulsione alla vita data dall’eros. Cerco la sensualità nei miei soggetti. Mi hanno aggettivato come neo espressionista, anche se penso che sia ormai un termine inflazionato. Oggi voglio liberarmi dalle forme..vedremo cosa ne verrà fuori.

L’arte senza la compiacenza del sistema,non ha una valida fruizione e l’artista nessun valore?

Elia

Se un artista ha valore, con il tempo si farà notare, mi voglio illudere ed essere fiduciosa e fregarmene della compiacenza.

Cristina

Questa più che una domanda è una verità. Penso sia legato a quegli artisti galleristi o curatori che vogliono essere speculativi rispetto l’arte. Fortunatamente voglio essere me stessa non rinunciando a me stessa, ho avuto la possibilità di essere godibile o fruibile.

L’artista è un rivoluzionario delle idee?

Elia

se l’artista non fosse un rivoluzionario di idee che artista sarebbe?

Cristina

L’artista è un rivoluzionario. Se non obbedisce rimane isolato, quindi fallendo nella sostanza “la visibilità”. Il punto è , quanto al sistema deve riconoscere. Personalmente mi tengo lontana dalla mediocrità e vivo un corposo e sano isolamento dal giudizio degli altri, anche nell’essere riconosciuta come artista.

Il giudizio della critica, deve avere il predominio sull’analisi personale dell’artista?

Elia

Secondo il mio parere no, l’artista si legge attraverso la sua opera.

Cristina

Tanti critici si fregiano del titolo,, senza averne alcuna competenza. Come un critico senza gusto può decretare il senso artistico di un manufatto? Sapranno vendere bene alla riccona di turno, senza alcun gusto per l’arte, ma per me non esistono, io non voglio essere un affare borghese e mediocre.

Qual è il vostro giudizio sul ruolo e il consumo del corpo femminile nella società attuale?

Elia

Mi piacerebbe sapere come si sentirebbe un uomo a sostenere il ruolo di musa ispiratrice oggi, il consumo del corpo femminile nella società attuale è un modo di tenere gli occhi improsciuttati agli uomini..poverini. Ma per fortuna ci sono quelli a cui il prosciutto non piace.

Cristina

La donna è stata musa ispiratrice non meno di modelli che hanno ispirato il mondo ellenistico o rinascimentale. Non dimentichiamo i corpi sublimi modellati da Michelangelo o da Leonardo. La donna è stata certo ben rappresentata, la sua fisicità, voluttuosità, ma non vedo il suo ruolo di donna, come non vedo quello di uomini. Ma splendidi corpi che suggeriscono emozioni. Mappeltrope ha rappresentato organi maschili, non l’ho trovato usurante per gli uomini, forse evocativo, ma mai pesante o volgare.

Fatevi liberamente e onestamente una domanda che desiderate e che non vi ho proposto.

Elia

L’arte per me è un mezzo per scuotermi e scuotere la mente attraverso le emozioni dell’anima.

Cristina

Mi domanderei , se mi sento realizzata come artista.

Si, perchè sono una donna che vive la completa consapevolezza dell’essere donna nel suo elemento creativo generante, indipendentemente da altro.

Ideazione di un progetto “Dispar et unum”

Come è nato il progetto da Aurelio Pes definito “Dispar et unu”?

Muore mia madre, una morta lenta e dilaniante entrava in coma epatico ripetutamente e frequentemente, sino alla fine. Un ruolo, il suo, troppo minato da ritmi del dolore. Troppo spesso mi trovavo avviluppata al suo dolore, ed infine, ma troppo presto mi sono trovata a dovere gestire la sua decadenza fisica. Ho sempre cercato una madre e lei lo è stata ma a suo modo. In pratica, siamo sempre più concentrati in quello che perdiamo e dedichiamo poco tempo per concentrarci in quello che abbiamo. Nel suo caso ha pianto troppo la perdita di sua figlia e sua nipote, ed in seguito il suicidio del fratello, Vincenzo. Per gestire una figlia ancora quattordicenne.

E quindi entrano in gioco queste figure femminili: Flora, Rosita, Marina, Maria Eugenia. In ognuna di loro c’è una parte di lei, una forza, un coraggio, una voglia di vivere, determinazione, gusto, autenticità; ma cosa assai importante, loro mi hanno dedicato il loro tempo, elemento prezioso ed insostituibile.

Non potevo, non vivevo le cromie, ed allora come atto creativo che poi si traduce in atto d’amore le ho rappresentate indagando i loro volti attraverso delle foto che in seguito sono state telate. Dove abbiamo dapprima giocato con pose e posture e poi sono state scelte quelle rappresentate. Ognuna di loro mi ha mostrato “lei”. Questa donna immensa che purtroppo non sono riuscita a respirare. Non sono una fotografa, ed è importante per chi dipinge.

Chi dipinge indaga, attua un processo di prospezione, introspezione; chi fotografa ha un punto di vista assolutamente condizionato dalla realtà. Sono punti di vista assolutamente determinanti nel mio far pittura. Il realismo è infatti, uno dei movimenti artistici che mi vede distante, non voglio e non saprei sostituirmi alla fotografia che vive di una sua immensità ma non è quella pittorica.

Le ho volute “mettere in luce”. Era la luce l’elemento determinate. Ogni fotografo studia, lavora con luci ed ombre ed allora sono andata da Velarredo, ho parlato con Santi Cinà che mi ha presentato Matteo Fiore, ed allora si è aperto il mondo delle fibre ottiche. Ho pensato di cucirle alle tele e di organizzarle in verticali ed orizzontali. Le donne rappresentate hanno una buona componente femminile e maschile ed allora le ho connotate. Come elemento omogeneizzante della colla nilicasparata a caldo per chiaroscurare capelli e dettagli del volto. Ho pensato a Mondrian e alle dottrine teosofiche secondo cui il mondo è concepito come un tutto unitario, retto da leggi e principi matematici in cui i poli opposti tendono alla ricomposizione e all’armonia cosmica. La relazione al principio maschile e a quello femminile, allo spirito e alla materia, che non è altro che una polarità di realtà opposte che si attraggono alla base dell’essenza spirituale dell’universo. La verticale e l’orizzontale.. Ed è nata l’opera che non voleva essere venduta ma donata.

A tutte loro.

Perché era il mio atto d’amore.

L’artista vive e rivive attraverso l’opera. Quindi una rivivificazione di quello che mia madre ha rappresentato per me. Aurelio Pes è stato come sempre generoso, attento, meravigliosamente aulico. Penso che lo ringrazierò sempre per tutto quello che ha fatto, per la sua attenzione, per la erudizione. E’ lui che ha strutturato tutta la parte critica.

Perché in definitiva il ritratto?

Sono andata indietro sino alla civiltà greca, al momento classico. Era il ritratto uno dei traguardi della loro civiltà. Anche se prima era sostanzialmente intenzionale e poi tipologico ma, in genere, si ha l’attinenza con il soggetto  dal vero. Ed era quello che volevo. Poi, sempre a ritroso, l’ostinazione di grandi come Michelangelo che non si sono mai voluti cimentare nella descrizione fisionomica. Ma potrei citare Raffaello e la sua idealizzazione del ritratto tipo, Correggio, Tiziano. Non essendo una ritrattista ho lasciato fare tutto (o quasi) alla macchina fotografica. Quindi, d’artista che vive di riferimenti e di connotazioni al proprio periodo, io stavo vivendo il mio momento apotropaico: esorcizzavo il dolore attraverso la forza di queste donne.

Cristina Correnti

Intervista della curatrice Maria Stella Wirz

Cara Stella, ti scrivo oggi, perché è lunedì.

Sembra poco ma è l’inizio di una settimana che scandisce il ritmo della mia attuale esistenza.

E’ cominciato così il nostro colloquio di cui vorrei rendervi partecipe.

Quando hai deciso di fare l’artista?

Non c’è un tempo d’inizio, è una condizione, è uno stato d’essere quello dell’artista, che può solo essere raffinato, nutrito, costruito. Un’artista è nei gesti, è nell’elaborazione dei pensieri, ha una sensibilità altra, come un altro ordine. Il mio ordine.

Chi ha influenzato maggiormente il tuo modo di vivere e di creare?

Tutto è certamente nato in accademia. Hai un’età che ti porta a fare delle scelte ed io ho scelto di studiare: penso sia sostanziale per ognuno di noi. Ci sono state delle figure importanti, attraverso loro ho conosciuto la storia ed ho percepito il contemporaneo come logico epilogo di un percorso creativo. Certo ha influito l’andare a New York, spaziare tra il Guggenheim o il Whitney Museum e guardare, osservare, vedere una città che scommette sull’arte. Essere al Greenwich o ancora a Parigi e in Spagna significa confrontarti con Claes Oldenburg e altri grandi artisti. Ti porta alla consapevolezza che un’immagine sostenuta da una struttura diventa qualcosa che il tempo non disperderà mai. Anzi è attraverso il fluire di esso che essa assume maggiore importanza.

Quali sono i tuoi riferimenti artistici del XX secolo?

Certamente Picasso come maestro della forma e come essere geniale. Ho guardato Arshile Gorky e con lui tutti quegli artisti che si erano stabiliti in America durante e dopo la seconda guerra mondiale: Matta, De Kooning, Masson, Kline. Adoro Rothko, Newman, Reinhardt.

Nel mio modo di dipingere c’è sempre qualcosa che mi rimane di loro – i rosa ed i gialli di De Kooning nei suoi nudi di donna, per esempio. E allora pensi che questo “qualcosa” è eterno o sicuramente vive oltre noi: ed è la cultura, sono i libri, la pittura, la scultura, l’architettura, è l’Arte.

Perché hai lasciato la tua Sicilia?

Era una cosa da fare. Ma per fortuna il mio accento, i miei colori e, a questo punto, gran parte del mio entourage è siciliano.

Sento così meno la nostalgia.

Quale messaggio vuoi lanciare attraverso questa tua mostra a San Salvatore in Lauro?

Ogni artista quando inizia una collezione si pone degli obiettivi, ci sono elementi che nel vissuto hanno bisogno di essere tradotti. C’è uno scrittore che esautora questa ricerca con la scrittura e la pubblicazione del libro. Così un architetto. Io mi sono posta domande ed ho dato delle risposte.

Resistenza creativa nasce da una frase della giornalista Angela Mannino che ascoltando il mio punto di vista ha detto: “ma tu sei una forma di resistenza”. Resistere al precariato, resistere allo squallore culturale che questo paese ultimamente ha vissuto. Pensare che attraverso l’intelletto possiamo non sentirci sconfitti economicamente. Un paese che alle difficoltà risponde con suicidi mi ha scosso. Anche mio zio si è suicidato ed ancora non ho superato questa realtà, riviverlo attraverso gli altri mi ha maggiormente motivato ed allora le cromie sono diventate più intense e il supporto è diventato più materico. Questa è la mia risposta alla vita.

Qual’ è il segreto per la creazione di un’opera d’arte?

E’ pretenzioso pensare ad un proprio lavoro come opera d’arte nel suo significante, molto umilmente mi concentro sulla ricerca, sulla sperimentazione, sulla figura traslata, sulla materia. Che questa operazione possa assurgere ad opera d’arte è altra storia, ma intanto la metto in opera.

Qual’ è il tuo rapporto con il mercato?

Ha mai visto un artista legato al mercato? Se è così, mi dispiace, non è un artista: è un rapporto dicotomico. Per il mercato, per fortuna esistono galleristi, curatori, mecenati, collezionisti e investitori.

Un artista è ben altro.

Ti piace vivere in questo momento storico?

A me piace l’idea della vita, dell’amore; questo è il mio momento, questo è il mio linguaggio e questa è la mia storia.

Maria Stella Wirz

Desiderata
In che modo viene percepita oggi la maternità? In che modo si accosta a quello che ancora oggi è il mistero della vita e quali sono le trasformazioni e le lacerazioni che attraversano le madri e i padri che “devono fare i conti” con l’evento per antonomasia?

E’ questo l’orizzonte con il quale si misura con la sua mostra dal titolo Desiderata, Cristina Correnti, un’artista che con i suoi acquerelli e le sue pitture ad olio riesce, in modo mai banale ma anzi illuminante, ad esprimere le angosce, l’attesa, le speranze di chi si confronta con la maternità, raccogliendo anche le confidenze di chi madre e padre non sarà mai e avrebbe voluto esserlo eccome. Queste opere toccano le corde della sensibilità e, cosa che più conta a mio parere, fanno pensare, a ciò che siamo, a ciò che avremmo potuto essere, al dono della vita e a chi ce lo ha offerto mettendo in discussione la propria identità e la propria storia personale, in un omaggio che è inno alla vita ed al futuro. E’ l’arte che è vita e che vuole proporre tutti i dilemmi di chi mette al mondo in un atto di fiducia estrema e speranza. La Provincia regionale di Palermo ha voluto affiancare l’artista Cristina Correnti in questo suo impegno originale e dal grande valore culturale e sociale, riconoscendone l’assoluto rigore e l’efficacia del messaggio che giunge al cuore ed alla mente. La forza espressiva di queste opere lascia un segno e induce a interrogarsi. Sono sempre di più gli artisti del nostro territorio che testimoniano l’importanza dell’arte per una migliore percezione di noi stessi e del modo che ci circonda. La Provincia di Palermo, nei limiti del possibile, vuole sostenere le iniziative e promuoverne il valore.

2009

Giovanni Avanti

Presidente della Provincia Regionale di Palermo

Prospezione
Mostra- Evento di Cristina Correnti. Ottagono di S. Caterina – Cefalù (Pa)

Prospezione: prospettiva e introspezione.

Questo evento è stato fortemente voluto e costruito su due aspetti chiave, il corpo e la parola.

Il primo, il corpo, dai pennelli riceve quelle forme e colori che quotidianamente, nel grigio della quotidianità, perde, divenendo semplicemente un corpo tra gli altri, un corpo che si prostituisce al sole, che si mercifica nel giudizio e nello sguardo prospettico altrui: il corpo della moda, dei pub, dei pizzi e degli chiffon; ma ecco che l’intervento della pittura, in un gioco di specchi, tira fuori i corpi dall’alveo asettico, di relazioni stecchite nel poco scrupoloso carpe diem per metterli al riparo nel luogo estetico, sublime, mutando così attivamente il corpo-merce nel corpo-soggetto. Corpo che si colora di emozioni e sensazioni, a sottolineare che ciò che agli occhi esterni dell’altro è solo una visione effimera in noi, è un’assoluta e variegata emozione interna, vivace e duratura, anche quando non ne siamo coscienti, anche quando con parole non ci pronunciamo.

Ma eccola allora, per l’appunto, la parola, che, quando esplode fuori dalle viscere contratte del rapporto introspettivo per rivolgersi all’esterno e annunciarsi, in verità. Annuncia noi stessi per quello che siamo e proviamo come singoli e non massa. La parola che dice di noi a quell’altro che finora ci aveva contenuto in sé arrogantemente, e così il nostro annuncio, la nostra angelicità, ci fa riappropriare anche del mondo tutto in cui noi non eravamo. Ma altri ci disegnava e giudicava per sé e i suoi pensieri. Questa parola urla, grida che non siamo merce, che noi non siamo merce, anzi, che siamo un reciproco rapporto, l’un l’altro, un rapporto vivo. E così sorge l’etica, che non è solipsistica o di massa, bensì pura relazione e comprensione, attesa dell’altro, dell’angelo, sorge una est-etica.

Questo il centro dell’evento: il corpo muto e merce della quotidianità massificata contrapposto al corpo parola e vita dei singoli che entrano in relazione. La scelta dei testi non è stata fortuita o casuale; tutt’altro. Il cileno Pablo Neruda vi appare sia per conclamata fama delle sue parole d’amore, sia perché lo si è voluto omaggiare nell’anniversario del centenario della sua nascita, ma è il primo aspetto che deve essere rilevato. Infatti gli altri testi presenti sono quelli di Massimiliano Della Sala, giovane palermitano e sconosciuto. Ecco che si riaccende il contrasto tra generale e particolare, tra opposti, ed ecco che riemerge lo scarto incolmabile intellettualmente tra noto e sconosciuto: non è solo il poeta noto che, perché dice le parole della vita, prova e provoca emozioni, tutt’altro, anche l’ignoto prova e sente, e provoca emozioni.

Dobbiamo comprendere che ognuno di noi, al di là del luogo, del sesso, del livello sociale è e siamo un’emozione, e questo lo si vuole sottolineare e ribadire proprio affinché ciò stesso, che può sembrare banale e scontato, in quanto verità, non divenga ovvietà, non diventi banale, non si intorpidisca di nera retorica ma sia sempre una meravigliosa novità. E’ altresì chiaro che ciò che accomuna la parole dei due è la riflessione sul corpo e le sue emozioni. Due prospettive della stessa ricerca introspettiva. Dunque s’incontrano e scontrano.

Infine la video proiezione cerca, con l’azione dei corpi in movimento, di mediare e rendere immediate, all’interno di questa paradossale cornice di colori, che sono i miei stessi quadri, la complessità di queste riflessioni e di queste considerazioni abbastanza problematiche, sempre più da tenere in considerazione proprio perché sempre meno considerate. Non capita di rado, infatti, che noi, un corpo davanti l’altro, ci parliamo, dimentichiamo che ciò di cui parliamo non sono banali prospettive ma complessi e collettivi colori interiori, comuni introspezioni, prospezioni.
Si ringraziano per il sostegno e la cortese attenzione: Il sindaco del Comune di Cefalù Dott.ssa Simona Vicari, vicesindaco del Comune di Cefalù Avv. Roberto Corsello, Massimiliano Della Sala, Dario De Giacomo, Santi Cinà di Velarredo, Martina Martire, Giuseppe Correnti.

Col filo dell’orizzonte

E’ profumatissima la resina dei pini,
Ma io,ogni giorno, mi rinfresco alla tua visione:
Orchidea d’ametista e carne.
E’sublime la docile luce dell’alba,
Ma io evaporo nella profondità dei tuoi occhi:
Perle di boschi e silenzio.
E’ dolcissimo il sapore delle bacche di pianura,
Ma io divoro la tua bocca sempre per la prima:
Amarena di corallo e parole.
Ricamerò il tuo viso col filo dell’orizzonte,
Sulle cime dei monti, sul confine del mare
Dove l’aria si fa leggera e spesso di sera
S’addormenta una stella.

Massimiliano Della Salla
La Vita
Una fiacca fica svuotata
Di puepera. Porpora
E’la vita che nasce

Massimiliano Della Salla

Resistenza Creativa

Sono lieto di presentare Resistenza creativa, l’ultima impresa artistica di Cristina Correnti presso il monumentale complesso di San Salvatore in Lauro, nel cuore della nostra città.

Sono convinto che sia di vitale importanza, ancor più in questo periodo, che le istituzioni sostengano l’espressione artistica contemporanea: ritornare alla cultura significa ritrovare motivazioni profonde e strumenti necessari per superare la crisi morale ed economica che a troppo tempo stiamo vivendo.

Il lavoro di Cristina Correnti esprime l’urgenza creativa e comunicativa dell’artista contro la devastazione individuale e sociale che quotidianamente colpisce la sua sensibilità umana e artistica: suicidi, precariato, incapacità di progettare una famiglia o di accogliere la maternità, violenza tra consanguinei, superficialità nei comportamenti e stravolgimenti di valori naturali e umani.

Il titolo stesso della mostra, Resistenza creativa, contiene già in sé la risposta dell’artista alla vita.

Cristina Correnti ci dice che Resistere al dolore è possibile solo se si ritorna alla Natura – al suo ordine ciclico, alla sua forza primordiale, istintiva e generativa – e alla nostra Storia.

Resistere è possibile attraverso la creatività, la serietà del lavoro, il rigore della ricerca, il coraggio di difendere con forza le proprie idee, anche a costo di correre rischi, e non scendere mai a compromessi con la propria coscienza.

Ho voluto appoggiare questa esposizione anche per lo spirito civico dimostrato da tutti coloro che hanno aderito con entusiasmo all’iniziativa.

Infatti, in tempo di crisi, hanno partecipato alla realizzazione di questo progetto artistico e culturale persone, come Giovanni Sollima, che hanno creduto nella qualità estetica ed etica dell’artista e nel suo messaggio positivo di Resistenza Creativa.

Si tratta di un modus operandi responsabile, lontano dalla logica del guadagno immediato e da inutili personalismi.

Desidero ringraziare l’assessore alla cultura di Roma Dino Gasperini, Cristina Correnti, Augusto Gregori, Giovanni Sollima, gli studenti dell’Accademia di santa Cecilia e tutti coloro che hanno reso possibile questa mostra. In modo particolare, si ringrazia il presidente del Pio Sodalizio dei Piceni Giorgio Bizzari che ha accolto la mostra al complesso monumentale di San Salvatore in Lauro: un luogo espositivo conosciuto a livello internazionale per la storica raccolta d’arte e le prestigiose manifestazioni culturali che periodicamente ospita.

Stefano De Lillo

A Roma le emozioni di Cristina Correnti
di Anna Villani

In che modo l’arte può venire in soccorso all’uomo della crisi? Con una “resistenza creativa”! L’artista palermitana Cristina Correnti fino al 20 luglio prossimo mette in mostra le sue opere presso le sale espositive di San Salvatore in Lauro a Roma.

L’inaugurazione è avvenuta il 10 luglio scorso: “Nonostante sia il giorno più caldo dell’anno, siete qui”  – è stato il saluto ai presenti del senatore De Lillo che ha tessuto lodi nei confronti dell’inno alla maternità che traspira dalle opere della bionda Cristina. – “Sono convinto che sia di vitale importanza, ancor più in questo periodo, che le istituzioni sostengano l’espressione artistica contemporanea: ritornare alla cultura significa ritrovare motivazioni profonde”.

La mostra è insolitamente affascinante. Certi sguardi dalle tele sembrano trasmettere lo stato d’animo dell’artista mentre li consegnava al pennello.

La serata d’apertura ha offerto l’autenticità dell’arte, accompagnata dalla musica di uno strepitoso talento russo appena 23enne, Georgy Gusev.

Cristina, la “resistente”, ha voluto portare nella capitale uno spicchio di Palermo, e ha avuto accanto a sé Maria Stella Wirz ed un allestimento curato da Alessandra Cerrito, avvenente architetto in ascesa nel “green design”, alfiere del riciclo dei materiali. “Dare nuova vita alle cose è essenziale oggi e sono felice di rendere felici quelli che vedono il mio lavoro”.

Con il patrocinio di Roma Capitale, la mostra regalerà emozioni, con i forti colori, le immagini ben delineate e le creazioni originali come la figura androgena che accompagna un abito da sposa donando riflessioni che solo il Bello sa ispirare. Del resto, la bellezza è negli occhi di chi guarda….l’artista vero è quello capace di farla emergere.

Cristina Correnti, che vive a Roma, si è diplomata all’Accademia di Belle arti di Palermo con una ricerca sull’analisi dell’Eros nell’arte dell’esegesi di Jeff Koons, completando la formazione con gli studi in Teologia a Monreale. Più che “recensirla”, occorre leggerla direttamente nelle sue opere.

Redazione Giroma

A San Salvatore in Lauro “Resistenza Creativa” di Cristina Correnti

Fino al 20 luglio presso le sale espositive di San Salvatore in Lauro si terrà “Resistenza Creativa”,personale dedicata all’artista siciliana Cristina Correnti.L’impresa artistica di Cristina Correnti viene presentata attraverso l’esposizione di una selezione di opere di cui 24 dipinti, 8 acquerelli e 5 installazioni. La maggior parte di questi lavori, realizzati in un breve arco di tempo, sarà esibita per la prima volta a Roma in questa occasione. Allestimento a cura dell’architetto Alessandra Cerrito.

Il progetto esprime l’urgenza creativa e comunicativa dell’artista contro la devastazione individuale e sociale che stiamo vivendo. “In questa mostra voglio rappresentare il caos – spiega – Voglio spiazzare perché sono spiazzata. E’ questa un’epoca di stravolgimenti sociali, povertà d’intenti, mancanza di ideologie, paura, precariato: una terza guerra mondiale dove non sono le armi a fare omicidi ma l’economia”. L’artista parla di sé, dei tragici fatti della propria vita, ma anche degli stravolgimenti che quotidianamente colpiscono la sua sensibilità umana e artistica.
La seducente istallazione “E’ buono ma non è la soluzione” denuncia l’abuso di alcolici soprattutto tra i ragazzini. Nella collezione “Desiderata”, uomini e donne sono chiamati dall’artista a scrivere sui suoi acquerelli, mettendo a nudo ciascuno la propria esperienza vissuta, negata, desiderata, voluta o imposta di quel momento unico che è la maternità/paternità: sempre più oggi motivo di ansia invece che di gioia naturale.
Nelle ultime opere, come in “Una rosa”, le cromie diventano più intense e il supporto più materico: con l’uso di polveri, cristalli di sale e i segni evidenti del lavoro manuale, Cristina Correnti ricorda che Resistere allo squallore culturale e umano è possibile solo se si ritorna alla Natura, al suo ordine ciclico, alla sua forza primordiale, istintiva e generativa.
In opere come “Un attimo prima” o in “Grazie Augusto”, Cristina Correnti ci restituisce, attraverso l’energia e la forza costruttiva dei colori, un mondo di corpi sensuali, dalle forti pulsioni vitali, donne e uomini desiderosi di contatto e di sostegno umano. E ancora seni abbondanti, seni resi realisticamente o appena accennati ma sempre presenti nella sua pittura: non sono solo uno strumento per compiacere il maschio ma generosa promessa di nutrimento per una nuova vita.
La vita che, a dispetto di tutto, si ricrea e sempre ci incanta.
In “Come artista anch’io voglio dipingere un toro” e in molte sue altre opere in mostra, si trovano citazioni, riflessioni critiche o omaggi ad artisti che hanno lasciato un segno nel suo modo di essere e di lavorare. Alla storia dell’arte Cristina Correnti torna di continuo per ritrovare le giuste coordinate.

Intervista su specchio quotidiano

La ‘Resistenza Creativa’ di Cristina Correnti

Della Sicilia, Cristina Correnti porta i colori forti, i profumi che senti guardando le sue tele. La guardi e pensi ad una scandinava, poi parla e sei rapito da quell’accento, la guardi nei suoi quadri e ti emozioni. Cosa ci salverà dalla crisi? La soluzione di Cristina Correnti è l’arte con una “Resistenza Creativa”, il nome della mostra che ha inaugurato il 10 luglio a piazza di san Salvatore in Lauro a Roma insieme al senatore Stefano De Lillo ed a Maria Stella Wirz che ha curato la mostra, mentre Alessandra Cerrito nome in ascesa nel green design anch’ella palermitana, ha curato l’allestimento delle opere.

“Le cose non le dico, le dipingo, rappresento” ti dice radiosa l’artista siciliana che vive come un “privilegio la città di Roma, ancora mi ci perdo!”. In che senso “Resistenza”? Le domando immediatamente. “Dobbiamo fare da scudo a questo periodo in cui si perdono le cose, si chiudono fabbriche, bisogna reagire, no agl’individualismi, si ai lavori in gruppo, fare squadra”.

La mostra è un itinerario misterioso diviso tra il messaggio sociale, l’esaltazione della donna in quanto madre, sentimenti che si vorrebbero incarnare con espressioni ora ferme ora labili ora solamente accennate. Più che una mostra è il viaggio dell’anima nel sogno, in cui Cristina-Caronte ti imbarca in nomi fantasiosi che ti calano in una storia, ogni volta diversa: “Due pesci in un acquario uno sbrana l’altro ma riuscirà a viverci dentro?”, “Ci sono cose che mi rendono perplessa”, “Corda di violino in forchette”, “E’ buona ma non è la soluzione” a sfondo socialmente educativo come campagna contro il bere forte.

“Il lavoro di Cristina Correnti esprime l’urgenza creativa e comunicativa dell’artista contro la devastazione individuale e sociale che quotidianamente colpisce la sua sensibilità umana e artistica: suicidi, precariato, incapacità di progettare una famiglia o di accogliere la maternità” ha scritto il sen. De Lillo(Pdl).

Fino al 20 luglio siete ancora in tempo per ammirare la “Resistenza” della Correnti che per l’inaugurazione ha unito l’arte con la cucina (naturalmente siciliana) e la musica, invitando Georgy Gusev, classe 1989, di Magnitgorsk (Urss). Con un grosso violoncello del suo grande amico liutaio francese Mathias Menanteau (www.romaliuteria.it) suona con uno stile più unico che raro. Non solo musica per lui, è infatti impegnato pure sul fronte sociale.